Carissimo Dott. Poli,
il mio problema è sempre stato la convinzione che il voler bene ad un figlio si misuri con quanto si è in grado di accudirlo, servirlo, seguirlo, accontentarlo.

“Se segui tuo figlio sei una brava mamma” e quindi “se sei una brava mamma avrai un bravo figlio”: diligente, obbediente, responsabile, autonomo. Tutte belle parole che, prima le maestre, poi i professori, mi hanno sempre raccomandato.
Peccato che nonostante mi annientassi psicologicamente e fisicamente per Paolo e gli altri due figli più piccoli, succedeva esattamente l’opposto: mi ritrovai in casa tre piccoli despota!
Più tempo dedicavo loro, più loro ne pretendevano; era come voler riempire una bottiglia forata sul fondo. Mamma vieni, mamma dammi, mamma voglio, mamma ascoltami …!”

Ad un certo punto, completamente svuotata, ho cominciato, grazie a Dio, a pensare che qualcosa non funzionasse.
Ma tutto e tutti intorno a me dicevano però che i figli sono una fatica e che purtroppo la scelta di avere dei figli oggi è una scelta di sacrificio e mortificazione. Anzi ancor meglio dopo una vita di sacrifici i miei figli mi avrebbero dato il ben servito girando i tacchi e sbattendo la porta!
Era un’altalena tra il pensiero perbenista ed educativamente saggio della società e il mio sempre più evidente tracollo verso il baratro. Sempre più spesso piangevo.

Tutti intorno a noi non facevano altro che colpevolizzarci, perchè troppo impegnati nel lavoro, perchè non seguivamo abbastanza i nostri figli, perchè avremmo dovuto cominciare a smettere di pensare a noi e a sacrificarci più per loro.
Tra me e me pensavo che più sacrificati di così non si poteva essere: niente amici, niente svaghi, vacanze su misura di bambino e assunsi persino una donna che si occupasse della casa per avere più tempo con i bambini.
Fino al punto in cui cominciai ad odiare i miei figli, ma in particolare Paolo perchè era quello che dava più problemi; cominciava a prendere posto nel mio cuore un sentimento di profondo rancore e il desiderio di eliminarli, di farli sparire dalla mia vita. Loro erano diventati un ostacolo alla mia felicità. Una sera dopo l’ennesima nota e l’ennesima insufficienza portata a casa da Paolo, io non ci ho più visto, cominciai a strattonare Paolo così forte, che dovette intervenire mio marito. L’ennesimo mio pianto e la mia disperazione, quella sera, toccai il fondo! Ormai più giù di così non potevo andare.

Dopo un colloquio era tutto finalmente chiaro: basta ora non si poteva perdere più tempo. Tornati a casa, da quel giorno l’atteggiamento cambiò: ormai mi ero resa conto che non potevo lasciarmi divorare dai sensi di colpa, non era giusto odiare i miei figli e la mia famiglia e non era umano pensare di tirar su dei figli con la convinzione che questi siano un sacrificio.
Ma se non si accende quella luce dentro di noi e non ci lasciamo illuminare senza remore, il cambiamento non accade.
E’ un po’ come quando si pedala su una bicicletta ancorata ai rulli, si può arrivare a pedalare fino allo sfinimento, ma non ci si muove.
Io non credo e non ci ho mai creduto alla mortificazione e al sacrificio forzato per essere felici! Infatti ora sono serena, sono serena sul lavoro, sono serena a casa, con la voglia di stare in casa, mi sento rilassata, pur sempre affaticata, ma con gusto.
Chi ha mai detto che per essere bravi genitori ci debba annientare, credo piuttosto che per un figlio sia meglio avere genitori sereni e felici, piuttosto che pazzi isterici.
In compenso sono cominciate le crisi di Paolo.
Il bel ragazzotto si è trovato a dover fare i conti con la realtà. Arrivano le dieci di sera e Paolo si trova sommerso dai compiti, durante il giorno ha bighellonato giocando a freccette o a biglie, nessuno si è seduto accanto a lui e lo ha aiutato! Poveraccio! Io d’altro canto gli ho solo ricordato un paio di volte l’ora.
Paolo il Martedì ha la lezione di tennis alle 15.00; alle 15.30 ancora pacificamente seduto sul letto, (sostiene che deve riposarsi dopo la scuola!) mi chiama per chiedere se è ora di partire. Io molto tranquillamente rispondo che sarebbe dovuto partire 30 minuti prima! Paolo comincia allora ad arrabbiarsi con me e ad agitarsi perchè oltretutto si era accordato con un amico per andarci in bici. “Mamma tu te ne stai lì senza dirmi niente e te ne freghi, sono le tre passate e non mi chiami, non ti importa niente di me, ti preoccupi solo dei tuoi affari!” Mi urla in faccia Paolo, mentre sto finendo di sistemare la cucina dopo avergli preparato il pranzo e dopo avergli ricordato il giorno e la lezione.
Paolo è molto arrabbiato, ma soprattutto disorientato. Ora io e suo padre siamo più sereni e non ci arrabbiamo come prima quando combina qualcosa o porta a casa brutti voti, ma semplicemente ci facciamo vedere risentiti e gli ricordiamo ogni volta che l’artefice della sua vita è lui. Noi siamo presenti e sempre disposti ad accoglierlo, ma la volontà ce la deve mettere lui, nessun altro.
Ieri pomeriggio è tornato a casa con un 4 in geografia. Mi è molto dispiaciuto ed ero anche arrabbiata, però mi ha consolata il suo atteggiamento, ha confessato di non aver studiato e mi ha promesso di farsi interrogare per rimediare. Prima avrebbe incolpato la profe di essere stata “stronza” con lui! La strada è lunga e Paolo non è sicuramente un ragazzo maturo, ci sono ancora molti alti e bassi, ma ora ho l’intima certezza che questa sia la strada da percorrere perchè nonostante tutto amo Paolo , i miei figli e la mia famiglia , amo i loro volti e il modo di essere imperfetti. Non siamo una famiglia da “Mulino Bianco”, mio marito qualche volta si arrabbia con me e io con lui, i miei figli non sono al top delle classifiche scolastiche e ogni tanto combinano guai, ma va bene così!

Una mamma

per essere bravi genitori non ci si deve annientare